Scritti by Franco Basaglia

Scritti by Franco Basaglia

autore:Franco Basaglia [Basaglia, Franco]
La lingua: ita
Format: epub
editore: Il Saggiatore
pubblicato: 2023-11-07T13:59:26+00:00


Questo abbozzo di analisi dei modi diversi di affrontare e di vivere la malattia mentale, di cui per ora non conosciamo che questa faccia in questo contesto, evidenzia che il problema non è quello della malattia in sé (che cosa sia, quale la causa, quale la prognosi), ma soltanto di quale tipo sia il rapporto che viene ad instaurarsi con il malato. La malattia, come entità morbosa, gioca un ruolo puramente accessorio dato che, pur essendo essa il denominatore comune di tutte e tre le situazioni suggerite, nell’ultimo caso sempre, nel secondo spesso, assume un significato stigmatizzante che conferma la perdita del valore sociale dell’individuo, già implicita nel modo in cui la sua malattia era stata precedentemente vissuta.

Se dunque non è la malattia l’elemento determinante della condizione del malato mentale, così come appare nei nostri asili psichiatrici, sono ora da esaminare gli elementi ad essa estranei che pure vi giocano una parte tanto importante.

Analizzando la situazione dell’internato in un ospedale psichiatrico (che insistiamo nel ritenere l’unico malato stigmatizzato al di fuori della malattia, e quindi l’unico di cui intendiamo qui occuparci) potremmo incominciare a dire che egli appare, prima di tutto, come un uomo senza diritti, soggetto al potere dell’istituto, quindi alla mercé dei delegati (i medici) della società, che lo ha allontanato ed escluso. Si è già visto che la sua esclusione o espulsione dalla società è però più strettamente legata al suo mancato potere contrattuale (alla sua condizione sociale ed economica) che non alla malattia in sé. Quale può essere il valore tecnico, scientifico della diagnosi clinica con la quale è stato definito al momento del ricovero? Si può parlare di una diagnosi clinica obiettiva, legata a dati scientifici concreti? O non si tratta invece di una semplice etichetta che – sotto la parvenza di un giudizio tecnico-specialistico – nasconde, neppure troppo velatamente, il suo più profondo significato discriminante? Uno schizofrenico abbiente, ricoverato in una casa di cura privata, avrà una prognosi diversa da quella dello schizofrenico povero, ricoverato con l’ordinanza in ospedale psichiatrico. Ciò che caratterizzerà il ricovero del primo, non sarà soltanto il fatto di non venire, automaticamente etichettato come un malato mentale «pericoloso a sé e agli altri e di pubblico scandalo», ma il tipo di ricovero di cui gode lo tutelerà dal venire destorificato, separato dalla propria realtà. Il ricovero «privato» non interrompe sempre il continuum dell’esistenza del malato, né riduce o abolisce in modo irreversibile il suo ruolo sociale. Per questo, superato il periodo critico, gli sarà facile essere reinserito nella società. Il potere destorificante, distruttivo, istituzionalizzante a tutti i livelli dell’organizzazione manicomiale, si trova ad agire solo su coloro che non hanno altra alternativa oltre l’ospedale psichiatrico.

Si può, a questa luce, continuare a pensare che il numero dei ricoverati negli istituti psichiatrici corrisponda ai malati di mente di tutti gli strati della nostra società, e che quindi sia solo la malattia a ridurli al grado di oggettivazione in cui si trovano? O non sarebbe invece più giusto ritenere che – proprio perché



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